Melone bianco in salsa

Le ricette di Cannavaciuolo

Melone bianco in salsa

Dosi per 4 persone

Ingredienti
Per il melone
1 melone bianco piccolo
Per il polpo
1 polpo intero
200 ml di vino bianco
1 gambo di sedano
½ carota
½ cipolla bianca piccola
2 l di acqua
pepe in grani
sale
olio evo
Per la salsa di arachidi
250 g di arachidi fresche
400 ml di brodo di pollo (per la ricetta vedi la sezione Antipasti)
olio di arachidi
olio evo
sale
Per la polvere nera
1 cucchiaino di nero di seppia
250 g di farina 00
250 ml di acqua
9 g di lievito di birra
5 g di sale di Cervia
15 ml di olio evo
Per i pomodori confit alla vaniglia
12 pomodori datterini
1 spicchio d’aglio
150 ml di olio evo
sale
zucchero
vaniglia in polvere

Per la finitura e/o l’impiattamento
1 stecca di vaniglia
1 ciuffo di basilico

Preparazione

Per il melone
Sbucciare il melone, togliere i semi e ricavare dei cubi non troppo grossi. Al posto del melone bianco si può usare anche l’anguria.

Per il polpo
In una casseruola mettere l’acqua, il vino, le verdure, il pepe e il sale e portare a ebollizione; immergervi il polpo iniziando dalla parte dei tentacoli, farlo bollire per 40 minuti e lasciarlo raffreddare nel suo brodo. Tagliarlo a pezzi e condirlo con olio. Cospargere di sale il fondo di una padella e scottare finché non è croccante.

Per la salsa di arachidi
Sbucciare e mettere a bagno le arachidi fresche per una notte. Privarle della pellicina, metterle in un pentolino con i manici di metallo assieme al brodo di pollo e coprire, portare a bollore e finire la cottura in forno a 100° per circa 1 ora sempre con il coperchio. Scolare conservando il brodo di cottura. Con l’aiuto di un frullatore a immersione frullare le arachidi aggiungendo poco per volta il brodo di cottura fino a ottenere una consistenza cremosa; lasciar raffreddare, aggiustare di sale e montare leggermente con olio di arachidi e olio evo a filo.

Per la polvere nera
Impastare la farina, il lievito precedentemente sciolto in acqua tiepida e l’olio, quindi aggiungere il sale e continuare a impastare. Formare una palla e spostarla in una ciotola coperta con la pellicola. Far lievitare per almeno 1 ora. Su un tagliere unire il nero di seppia all’impasto, stendere col mattarello e infornare a 170° per circa 15 minuti finché non è croccante. Lasciar
raffreddare e polverizzare in frullatore.

Per i pomodori confit alla vaniglia
Pelare i pomodori datterini, in una ciotola condire con sale, zucchero, un filo d’olio e aglio. Disporre su una placca con carta forno e cuocere in forno a 90° per 90 minuti circa. Mettere in un pentolino 100 ml di olio e la vaniglia, mescolarli, portare a 60° e mantenere la temperatura per circa 1 ora. Lasciar raffreddare e marinarvi i pomodori per almeno 12 ore.

Impiattamento
In un piatto piano disporre un pezzo di polpo, un cubetto di melone con sopra un pomodoro confit alla vaniglia, un cucchiaino di salsa arachidi e la stecca di vaniglia. Finire con la polvere nera e decorare a piacimento con basilico e olio evo.

SERVONO SEMPRE

Pasta fresca
Dosi per 500 g circa

Ingredienti
400 g di farina 00
100 g di semola
1 uovo intero
13 tuorli
1 cucchiaio di olio evo
Preparazione
In un robot da cucina unire la farina, la semola, l’olio, l’uovo e i tuorli; lasciar
impastare. Se l’impasto è troppo duro, aggiungere un po’ di acqua finché non
risulta omogeneo.
Formare una palla, avvolgerla nella pellicola e farla riposare per almeno 1 ora,
dopodiché è pronta per essere utilizzata.

 

Le storie di Antonino

Il vino e il carattere dei cuochi Quando, all’inizio della carriera, lavoravo negli alberghi, la spesa si faceva una volta o due la settimana, a seconda del bisogno; era una questione di comodità, e di risparmio. In quelle occasioni notavo che spesso chi era incaricato di stilare la lista tendeva a eccedere con le scorte di alcolici. L’uso dell’alcol in cucina non era una novità, ma se un tempo si spiegava con l’esigenza di «lavare» prodotti non piú freschissimi, con l’invenzione dei moderni frigoriferi quel problema era stato superato. Dunque perché procurarsi scorte tanto consistenti? Osservando meglio mi resi conto che il sovrappiú era spesso destinato al consumo interno del personale. Bisogna considerare che il mestiere del cuoco è molto duro, e venti, trent’anni fa lo era ancora di piú, poiché gli ambienti di lavoro erano assai meno confortevoli e salubri di oggi: una bevuta qua e là tirava su il morale. Giustificare l’importanza dell’acquisto non era un problema. Venuta meno la necessità di coprire i cattivi odori, bastava inventarsi ricette «alla vodka», «al vino» e «alla birra», che infatti erano allora parecchio di moda, a mio parere ingiustamente, nei menu dei ristoranti. Pure a me, lo confesso, ai tempi è capitato di ordinare una bottiglia in piúda dividere con i colleghi, ma la cosa mi ha sempre messo un po’ a disagio. Non mi affascinava vedere cuochi anziani, sfiancati da una vita che concedeva loro briciole di tempo libero, esagerare con il bere, anche perché gli volevo bene. Alcuni di loro finivano con l’alimentare lo stereotipo, molto diffuso, del cuoco dal brutto carattere, che urla a tutti. Credo sia anche per questo che nei miei piatti l’alcol è poco presente, a meno che, ovvio, non sia un ingrediente vero e proprio, utile a esaltare invece che a nascondere i sapori. Chiariamolo, il vino mi piace, però non come strumento per dimenticare la fatica. Lo considero piuttosto il fedele compagno di viaggio in un’esperienza del gusto, un amico che non ti anticipa, ti segue. Quello che mi incanta, poi, è che il vino ha una data. Sull’etichetta è sempre riportato un anno. E magari è l’anno in cui hai conosciuto tua moglie, l’anno in cui è nato tuo figlio o tua figlia. Il vino è memoria. Questo sí che è affascinante, non vi pare?
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